Uno spazio di incontro e di aiuto per chi si sente smarrito, ferito in uno dei bisogni essenziali: la salute. Due volte alla settimana, l’ambulatorio del Centro di ascolto della Caritas diocesana, in via d’Azzo Ubaldini, apre le sue porte a coloro che necessitano di sostegno. Assistenza, visite, farmaci: l’ambulatorio rappresenta uno dei luoghi chiave per garantire a tutti il diritto alla cura, anche a chi, purtroppo, spesso resta invisibile. «Questo servizio ci permette di tornare all’essenza della professione del medico, di sentirci, in un certo senso, dei buoni samaritani» racconta il medico in pensione Angelo Gambi, uno dei quattro medici volontari che, assieme ad alcuni infermieri, garantiscono con grande impegno il funzionamento di questo servizio.
Il dottor Gambi, attivo in questo servizio Caritas dal 2010, è stato anche tra i promotori della nascita dell’ambulatorio, istituito nel 1997, come raccontato in questo articolo dalla dottoressa Gabriella Reggi. «Rappresenta uno spazio davvero libero – spiega Gambi – in cui possiamo esercitare la medicina nel suo senso più nobile, come ci ricorda il giuramento di Ippocrate, stando accanto alle persone più fragili ed emarginate».
L’ambulatorio è un luogo dove le problematiche sanitarie si intrecciano con questioni sociali e relazionali. L’accesso avviene su appuntamento, con un numero di pazienti variabile, ma stabile negli anni. «In passato avevamo un’utenza ben codificata, con problematiche simili: badanti senza medico di base, senzatetto, migranti africani – racconta Gambi –. Ora la situazione è cambiata. Molti di loro, come le badanti, si sono integrati e rivolti a strutture pubbliche. Attualmente vediamo più persone senza fissa dimora e, paradossalmente, anche stranieri con regolare permesso di soggiorno e medico di base. Alcuni vengono per insicurezze, per chiarire indicazioni ricevute dallo stesso medico; altri vogliono evitare le file; altri ancora scoprono che per loro i farmaci hanno un costo spesso insostenibile». Anche quando devono pagare un ticket, molte famiglie in difficoltà si accorgono che questo piccolo contributo può rappresentare un peso. «Stiamo cercando di capire come affrontare al meglio queste nuove esigenze».
La richiesta principale riguarda farmaci di uso comune come il paracetamolo, percepito spesso dagli stranieri come una sorta di “cura universale”. «Ma non è sempre la soluzione adeguata – precisa Gambi –. È qui che diventa fondamentale instaurare una relazione. Per noi è importante dedicare tempo all’ascolto, chiedere della loro vita e storia. Credo che dare spazio al racconto aiuti nella diagnosi e, allo stesso tempo, fa sentire queste persone accolte. Quando qualcuno arriva con dolori alla testa o alla gola, la prima cosa è chiedere da dove viene, cosa ha fatto prima. A volte le risposte sorprendono». È il caso di un tunisino che una volta confidò a Gambi: «Veniamo in Italia “per colpa” degli italiani. Guardiamo la vostra tv, vediamo le ricchezze, la felicità… e questo ci fa desiderare di lasciare il nostro Paese e partire». Salvo poi scoprire che dietro quelle immagini c’era tanta apparenza.
Oltre ai farmaci di uso comune, c’è molta richiesta di antibiotici, antinfiammatori e anche di assistenza odontoiatrica, che tuttavia l’ambulatorio non riesce sempre a garantire. «Abbiamo qualche dentista che collabora con noi, ma intervenire in situazioni di emergenza è difficile, anche se a volte si tratta di problemi dolorosi». Poi entrano in gioco anche aspetti educativi e culturali. «Le ragazze nomadi, per esempio, chiedono spesso aiuto per uscire da uno stile di vita che sentono ormai distante. Vorrebbero integrarsi, entrare nella società, ed è importante educare anche la comunità per favorire questa inclusione». L’auspicio, poi, sarebbe anche quello di ampliare gli spazi dell’ambulatorio, attualmente un po’ sacrificati, e aumentare il numero dei medici volontari per garantire un giorno in più di apertura.
Tra difficoltà e sfide, emergono tante storie positive, che ripagano dell’impegno. «Ricordo un giovane senegalese, arrivato da poco in Italia per lavorare nei campi, che aveva sviluppato una sindrome asmatica a causa dei pesticidi utilizzati qua. Era in difficoltà, ma aveva anche tanta voglia di fare e non arrendersi. Lo abbiamo seguito, ha ricevuto i farmaci necessari, e oggi lavora stabilmente; ha potuto portare anche la famiglia a Faenza. La cosa più bella è che, incontrandoci per strada, mi saluta sempre con un affetto sincero».
La domanda di aiuto, purtroppo, è in crescita. Sempre più italiani iniziano a rivolgersi all’ambulatorio Caritas, indice di un disagio che non riguarda più solo gli stranieri. «I bisogni aumentano, e avere qualche giovane medico volontario in più in ambulatorio sarebbe di grande aiuto per sostenere al meglio questa missione».
Samuele Marchi
Il convegno
Sabato 9 novembre, dalle 9 alle 13, il Palazzo Podestà di Faenza ospiterà un convegno dal titolo Gli ambulatori solidali dedicato alla salute e all’inclusione dei più vulnerabili, con l’obiettivo di ridurre le disuguaglianze nell’accesso ai servizi sanitari. Promosso dall’Ambulatorio Caritas – Farsi Prossimo, con il patrocinio del Comune e la collaborazione dell’Ausl, l’incontro vuole approfondire il ruolo degli ambulatori del Terzo Settore nella rete sanitaria territoriale e offrire uno spazio di confronto su temi cruciali per la salute pubblica. L’ingresso è gratuito.
Per info, è possibile scrivere all’indirizzo mail: ambulatoriocaritas@diocesifaenza.it
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