Il 13 novembre, presso la sede della Caritas Italiana a Roma, si è tenuto un importante convegno dedicato al tema delle carceri e della giustizia preventiva. Diversi esperti e rappresentanti del mondo penitenziario e dell’assistenza volontaria hanno analizzato le sfide attuali del sistema carcerario italiano, sottolineando la necessità di una riforma che promuova la dignità, l’inclusione e la riabilitazione dei detenuti, oltre a una cultura giuridica che rifiuti la mera vendetta.
L’urgenza di una giustizia umana ed equa
Tra gli interventi di maggior rilievo, Mauro Palma, presidente del Centro di Ricerca European Penological Center dell’Università Roma Tre, ha messo in luce la preoccupante crescita del numero di detenuti in Italia, passati da 55.835 nel settembre 2022 a 62.302 attuali. Un aumento che, secondo Palma, evidenzia le distorsioni di un sistema penale diventato spesso il mezzo preferenziale per affrontare i conflitti sociali, dove invece sarebbe necessaria una visione di giustizia come riparazione. “La domanda da porsi – ha affermato Palma – non è ‘che cosa facciamo dell’autore di un reato?’, ma ‘che cosa facciamo della lacerazione sociale che ha causato questo reato?’”. Questo cambio di prospettiva è essenziale per costruire un sistema giuridico che non si limiti a punire, ma che lavori per ricucire i legami sociali.
Il volontariato come presenza costante e solidale
Tra le voci dei volontari, Rosa D’Arca, attiva nel carcere di Rebibbia, ha testimoniato l’importanza della continuità e della gratuità del servizio svolto. “Non si può entrare in carcere senza formazione e senza la consapevolezza della responsabilità che comporta essere per loro, per i detenuti”. Ha raccontato l’esperienza dei colloqui settimanali con i detenuti, momenti di ascolto che non si limitano ai bisogni materiali, ma si fanno espressione di una vicinanza solidale. Un percorso non improvvisato, che richiede una lunga preparazione per poter costruire relazioni autentiche e di aiuto reciproco.
Un impegno spirituale che coinvolge tutta la comunità
Anche Don Rosario Petrone, cappellano del carcere di Salerno, ha portato la sua esperienza. Operativo da sedici anni, ha sottolineato come la dimensione spirituale diventi fondamentale per offrire speranza e aiuto a chi vive in condizioni di emarginazione. “Noi siamo lì per incontrare e sostenere la dignità della persona, senza nemmeno domandare quali siano stati i reati commessi”. Ha raccontato del progetto “Domus Misericordiae”, una casa che accoglie detenuti in misura alternativa e che ha registrato un tasso di recupero dell’80% tra gli ospiti, soprattutto grazie alla dimensione lavorativa e relazionale. Questo modello ha dimostrato come un accompagnamento mirato, fuori dalle mura carcerarie, possa offrire reali possibilità di riscatto.
Un carcere orientato alla Costituzione
La provveditrice dell’Amministrazione penitenziaria della Campania, Lucia Castellano, ha posto l’accento sulla necessità di un carcere “costituzionalmente orientato”. Ha parlato di come l’istituzione carceraria debba costruire relazioni trasparenti e rispettose con chi vi opera e con chi vi è detenuto. “Un carcere che rispetta la Costituzione è un luogo dove si garantisce un’esistenza dignitosa, dove si mangia e si dorme bene e si svolgono attività significative. Questo non può avvenire senza forti relazioni tra istituzioni, personale e detenuti”.
Giustizia riparativa e sicurezza per tutti
Alessandro Ongaro, della Caritas di Verona, ha proposto un modello di giustizia riparativa che non si concentri esclusivamente sul reo, ma che coinvolga anche le vittime e la comunità. “Quando si considera la giustizia come riparazione, è necessario ascoltare anche la sofferenza delle vittime e delle loro famiglie. Solo così si può costruire una sicurezza reale e condivisa, che va oltre la vendetta e che aiuta la comunità a guarire dalle ferite”. Un approccio che richiede grande sensibilità e capacità di ascolto da parte dei volontari, come ha ribadito, soprattutto in quei casi dove le vittime sono percepite dalla società come “colpevoli” delle proprie sventure.
L’intervento del cardinale Zuppi: “Giustizia riparativa come unico cammino”
Con parole cariche di passione, il cardinale Matteo Maria Zuppi ha chiuso il convegno ricordando come la giustizia, senza dignità, non possa essere considerata giusta. Ha sottolineato il rischio di scivolare in una cultura giuridica “retributiva” che risponde al reato solo con una punizione, un principio estraneo al messaggio evangelico. “Gesù non ha applicato la giustizia retributiva – ha affermato Zuppi – ma ci ha insegnato a tendere una mano e a risollevare il fratello”. Il cardinale ha poi evidenziato come le pene alternative diano maggiore sicurezza, se sostenute da adeguati strumenti e finanziamenti. In quest’ottica, la giustizia riparativa diventa la risposta più sensata per costruire un equilibrio tra rigore e compassione.
Conclusione: un appello alla comunità cristiana
In sintesi, il convegno ha lanciato un forte appello alla comunità cristiana e alla società civile. “Non possiamo accettare – ha concluso il cardinale Zuppi – una giustizia che si basa su ignoranza e vendetta. Dobbiamo educare al rispetto e alla compassione, come Cristo ci ha insegnato”. Un impegno che riguarda ogni cittadino, chiamato a riflettere e a contribuire per un sistema di giustizia che rispetti e valorizzi la dignità di ogni individuo.
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