L’arte che guarisce: a Faenza con Caritas partito un corso per superare il trauma post alluvione

28 Marzo 2024
Categorie: Emergenze

Liberarsi dal trauma dell’alluvione si può, anche grazie all’arte. Pastelli, acquerelli, tempere e argilla possono diventare un toccasana per sboccare traumi e blocchi. Un percorso di cinque incontri di arte terapia, che ha preso il via all’inizio di marzo, finanziato dalla Caritas italiana, volto a elaborare le emozioni post alluvione.

 Federica Ronchi, psicoterapeuta: “Il posto sicuro è dentro”

ArteterapiaFedericaRonchi

Titolo dell’iniziativa ‘Il posto sicuro’, ne abbiamo parlato con Federica Ronchi, psicoterapeuta della Gestalt, che guida questo progetto.

Dottoressa Ronchi, sembra quasi una contraddizione, ma il posto sicuro esiste? 

Sono dell’idea che nessun posto ‘fuori’ sia davvero sicuro. Specialmente dopo un trauma come quello post alluvione, le persone non si sentono al sicuro, mai. Ecco allora che occorre ripartire da dentro.

Come?

L’idea è quella di creare uno spazio protetto, in cui ciascuno possa vivere le proprie emozioni. Io in realtà non faccio nulla, creo solo le condizioni per un ascolto non giudicante. Già il ritrovare spazi umani dove è possibile il contatto ed essere ascoltati è terapia e cura al tempo stesso.

E l’arte come si inserisce in questo contesto?

Utilizzo dei mediatori artistici: fogli colorati, pastelli, acquarelli, argilla, polveri, ecc. per dare forma a ciò che si prova, perché talvolta è troppo faticoso farlo con le parole. Non si tratta però di laboratori, perché con la terapia si creano spazi legati al contatto e non all’esito del processo, tanto è vero che spesso i manufatti vengono distrutti. La trasposizione su un mediatore artistico permette di portare alla luce vissuti immagazzinati nel corpo e nella psiche, alleggerendo il carico di dolore che spesso è dato dal dover trovare una spiegazione razionale o un’interpretazione a ciò che si prova.

Come funzionano questi incontri?

Si sceglie di volta in volta un mediatore artistico diverso, si lascia emergere spontaneamente quello che c’è dentro e ci si ascolta. Il dialogo è principalmente con sé stessi, attraverso il disegno. Poi arriva il momento di condivisione, lì si crea una bella risonanza di ascolto. Non è solo un raccontare una sequenza di eventi, ma è il rivivere e raccontare le emozioni che scioglie i blocchi.  Anche ascoltando le storie di altri si crea un processo di guarigione. Le esperienze condivise aiutano sempre. Pensiamo ai nostri nonni che hanno vissuto i traumi della guerra: hanno raccontato le loro storie allo sfinimento.

 Quali sono le emozioni che emergono durante le sessioni di lavoro?

Paura soprattutto, poi rabbia e tristezza, ma aspiro a condurre le persone anche a toccare la gioia. Il punto è che la gioia non la incontreremo mai se prima non abbiamo toccato il resto. E’ una elaborazione di un lutto, perché questo è stata l’alluvione per tanti faentini. C’è il rischio di rimanere bloccati nella paura o nella rabbia, con la conseguenza di non sentire più nulla a livello emotivo.

Qual è stato il trauma maggiore?

Chi si è trovato in pericolo di vita in un qualche modo si è ripreso, mentre è molto più complesso elaborare il trauma della perdita della casa. Non solo, il dispiacere più grande non riguarda oggetti di valore, ma la perdita delle foto.

E si guarisce?

Sì o no, dipende e non si può mai sapere in anticipo. L’importante è non rimuovere il problema. Non basta comprare una casa nuova per liberarsi del trauma e poi dipende da come l’alluvione ha trovato le persone. I giovani, ad esempio, hanno forte la speranza di ricostruire, per gli anziani è molto più difficile. E’un processo di alti e bassi, sicuramente alla lunga paga, ma richiede costanza

Avete avuto tante adesioni al progetto?

Sì, anche se ci aspettavamo una partecipazione maggiore, visto l’elevato numero di cittadini colpiti. Probabilmente molti considerano la parola ‘terapia’ un tabù.

Qual è il target degli iscritti?

Sono tutte donne adulte, di età compresa tra i 36 e i 60 anni, con vissuti molto diversi, provenienti da varie zone della città, alcune con famiglie, altre sole, dipende.

Qual è la chiave, alla fine?

Penso che sia importante perdonare e perdonarsi, invece c’è chi si rimprovera di non aver fatto abbastanza. Bisogna imparare a far pace con l’acqua, con il fango, con il fiume, con la natura. Ci sono persone che non riescono più nemmeno a pronunciare la parola ‘fiume’.

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